Quando una volta mi prendevo dei pomeriggi liberi

di Marco Tudisco

Quando ogni tanto mi prendevo dei pomeriggi liberi e mi rifugiavo in qualche posto da solo, a bere qualcosa, e magari leggere e scrivere un po’. Mi manca. Entro in un posto a bere un bicchiere di vino e leggere un po’. C’è un giradischi e sul piatto gira Bill Callahan, che è sempre cosa buona e giusta. Una ragazza davanti a una lavagna sta scrivendo i nomi dei vini alla mescita. Da un’ora. Un’ora per scrivere sei o sette vini e ancora non ha finito. La lavagna ha pure i quadretti e lei sta usando un cartoncino come righello. Una cosa estenuante. Il ragazzo che mi serve è gentilissimo, mi porta le olive ogni volta che le finisco e ha una pazienza infinita con la giovane amanuense: le detta i nomi, la guida (ci va la q? sì, marique) e la sostiene in quella che dovrebbe essere una cosa stronzissima da sbrigare in cinque minuti. E invece è ormai un’ora che va avanti a ricamare lettere col gessetto, e a me sta venendo voglia di avvicinarmi, fissarla per pochi, ma intensi secondi e cancellarle tutto quello che ha faticosamente fatto, con la concreta possibilità di provocarle una crisi di nervi, se non un ictus. Ma poi il ragazzo gentile si alza, le si avvicina (ora sul piatto c’è Bob Dylan che canta I Want You) e la bacia. Sono fidanzati. Le vuole bene, ci tiene. E io che pensavo la tenesse per Pietà e Misericordia che invece, con ogni probabilità, sono i nomi delle tette.

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