
di ALVER DRUDI
Potrebbero sconvolgere le tecnologie dell’informazione, rivoluzionare le tecniche di crittografia, permettere elaborazioni complesse in tempi incredibilmente ristretti e fare tutto questo occupando uno spazio microscopico: ma cosa sono esattamente i computer quantistici e su quali principi fisici si basano?
Fenomeni quantistici
Niels Bohr diceva che “Se qualcuno afferma di non essere rimasto sconvolto dalla meccanica quantistica significa che non l’ha capita”, più di recente Feynman ha sostenuto che è semplicemente impossibile “capire” la natura quantistica delle cose.
Quel che è certo è che la meccanica quantistica costringe la nostra mente a contorsioni dolorose e che tuttavia continua a spiegare molto bene i fenomeni fisici e a fornirci sempre nuovi spunti per interessanti sviluppi.
Parlare di computer quantistici naturalmente significa introdurre almeno in parte alcuni dei paradigmi della meccanica quantistica e mettere il naso in un mondo in cui, sempre per citare Feynman, è impossibile farsi un modello intuitivo di come “vanno le cose”.
Sarebbe arduo, e d’altronde non è lo scopo di questo articolo, tracciare in poche pagine un quadro dello sviluppo storico della meccanica quantistica, invece è possibile, e molto interessante, spiegare alcuni dei fenomeni che sono caratteristici della teoria e che sono legati alla costruzione di computer quantistici.
La meccanica quantistica si è sviluppata nel corso dei primi trent’anni del 900 e, già tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta del secolo scorso, aveva assunto una forma matura, portando a compimento una trasformazione nella visione delle cose cui, come spesso accade in fisica, la comunità scientifica fu costretta dal susseguirsi di risultati sperimentali inspiegabili ed “assurdi”, in particolare dal comportamento della materia a livello dei suoi costituenti primi.
A questa rivoluzione parteciparono alcune delle più grandi menti del secolo scorso: Plank, De Broglie, Bohr, Heinsenberg, Shrodinger, Dirac e, naturalmente Einstein, il quale, fatto forse poco noto, ha vinto il nobel per la sua spiegazione quantistica ante litteram dell’effetto fotoelettrico e non per la teoria della relatività generale(la motivazione recita “…per i suoi contributi alla fisica teorica, in particolare per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”.
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